Sono in una stanza.
La solita.
Le pareti verdi.
I quadri.
Gli oggetti rossi.
Non è come sempre.
Ora ci sono io che guardo.
Mi perdo.
Mi faccio coccolare dal silenzio, abbasso le palpebre e mi rilasso.
Le mani in grembo, il calore del riparo.
Il fuori che corre e si dilegua.
L’asfalto bagnato che non riporta e non mi importa.
Le ombre delle finestre.
L’ordine.
Anche la pacatezza del non pensare, di restare calma. La non voglia.
Le palpebre che calano.
Forse c’è un sogno che chiama.
O forse sono io che voglio andare da lui.
Dove il cancello trema e le catene sono arrugginite, un giardino segreto che posso guardare da qui.
Ho provato a scavalcare ma potevo farmi male.
Vorrei rischiare ma forse non mi salverebbe nessuno.
Oltre le palpebre un sorriso, mi sembra quasi di poterlo acchiappare.
Si torna un pò ad essere ragazzini, dentro mani che non hanno visto trascorrere il tempo, io che ho creduto che oltre il cielo ci potessero essere altre case, io che guardavo le luci di notte mentre attraversavo l’Italia con il treno e chissà se oltre quei vetri ci sono state le vite che ho incontrato dopo.
A volte non so cosa mi succede, vado in un mondo mio che mi porta calma e le parole mi trascinano vicino al viso delle persone, ne vedo il contorno degli occhi, le rughe che scendono lungo le labbra per disegnare un sorriso.
E se potessi acchiapparlo?
Se potessi farlo diventare reale questo disegno?