La giacca di jeans dai grossi bottoni in metallo.
La maglia di cotone color glicine.
Una ringhiera di ferro battuto dietro le spalle.
I sorrisi beffardi di chi sa che la menzogna ferisce e i miei occhi smarriti dopo un viaggio che mi ha lasciato l’anima a pezzi.
Una ragazzina e l’inizio di maggio.
Ora una donna e un riscatto.
I passi uno dopo l’altro, un atrio grande e freddo contro una colonna che sorreggeva più le mie urla trattenute che tutto il resto.
Le mani in quelle tasche piccole e i jeans che cadevano sui fianchi.
La magrezza di corpo dentro uno spirito colmo di pensieri che ben presto avrei fatto scoppiare su carta.
Le risa e la derisione.
Uno scambio patetico di schifezze mentali mentre io affondavo e non tornavo mai più.
Il bullismo di chi ora è uomo e non ricorda ma chi ha subito non dimentica.
Mi passano davanti come proiezioni a colori opachi certe scene che non mi sembra neppure di avere vissuto.
Mi sanguinano le mani di sudore duro a perdersi.
Dentro queste cicatrici che presto faranno tornare il sorriso che avevo prima di quel giorno e che purtroppo fatico ancora a credere di poter riavere.
Una ragazza, una donna, un essere umano non merita mai di essere deriso, di essere messo alla gogna per i suoi silenzi, di essere allontanato per un problema.
Le mie gambe hanno tremato troppe volte e per sorreggermi ho usato le mani, quelle che poi un giorno hanno detto basta e hanno coperto gli occhi colmi di lacrime.