Chissà se a lui piace questa canzone.
Lui che venne a trovarmi e teneva le ginocchia contro il tavolo.
Lui che era l’unico che mi vedeva.
Come quella sera d’estate in cui seduta fuori dal bar di suo padre sentii le sue mani lungo le spalle, capii dopo che era lui, io che ero assorta dentro la mia testa, io che cadevo in storie perché quello che vivevo nel reale faceva male.
Le sue mani che scivolavano sulle mie braccia e sentivo la tensione sciogliersi, la mia pelle bianca e pesante di negazioni, sotto una camicia traforata sentiva il calore.
Il suo corpo piegato in avanti e la mia testa poggiata al suo petto, era così totale quella sensazione che sembrava non vera e io ancora la ricordo.
Marco e il suo sorriso.
I suoi occhi blu come i riflessi del lago dove è andato vivere qualche anno fa, quella scelta ponderata, dopo che Milano era diventata difficile da gestire come il rapporto che stava vivendo.
Un anno fa, lui con la giacca blu e la camicia rosa chiaro, le mani in tasca e vedermi, guardarmi, fisso negli occhi, i passi verso di me e la mano sul mio braccio.
Ne sento ancora il calore, perché Marco questo è, calore.
E credo sappia fare anche molto bene l’amore.
Lui sa sentire il corpo e il mio ha sempre parlato per tutto quello che ha dovuto sopportare.
Dentro la rigidità dei miei passi arrabbiati e quella schiena che non è più stata la stessa.
Voglio le mani.
Voglio qualcosa tutto per me.
Voglio che il mio corpo venga scaldato.
Voglio gli occhi che sanno di desiderio.
Marco è l’amico che ti sa vedere.
Lui l’unico che mi ha sempre vista.
Era poggiato ad un tavolo quando più di dieci anni fa lo vidi per la prima volta, la bicicletta ferma alla colonna e quella battuta che ancora ricordo.
E abbasso le palpebre arrossendo ancora oggi, io che non mi sono mai sentita bella, lui me lo aveva detto in faccia senza avere l’imbarazzo di pensare fossi la donna del suo migliore amico.
Marco e il cobalto dentro le pupille, i capelli di uno che non gli importa delle mode, lui sportivo dentro l’anima e che sa benissimo quando un corpo non esiste più.
Vedesse come ieri goffamente mi sono alzata sulla schiena puntando i piedi, io che stamattina piangevo pensando a come devo provarci a dargli forza perché ho un progetto fatto di parole.
E Marco ha voluto conoscere anche quelle, lui mi ha vista oltre la copertina di un libro, oltre quei pezzi che scapestrati scrivevo su un social e lui leggeva abbracciandomi.
E per me è un gran regalo, perché sono sempre stata trasparente e invece per lui no.
Lui sa il mio nome, lui mi ha chiamata per intero e poi mi ha chiamata come quegli amici delle superiori, perché lui si è preso il mio sorriso vero, quello che ai tempi avevo ogni giorno.
Marco manca e vorrei andare da lui.
Lui che ha detto che mi paga una giornata di relax ma solo se me la godo davvero.
Ora poggio il mento ad entrambe le mani e sorrido.
Alzo il volume e penso che sì, questa canzone potrebbe piacergli, a lui che ha una bella voce e ama cantare.
Lo sento mentre in quei pomeriggi di qualche anno fa, veniva qui a cantare nello studio e poi prima di andare si fermava sulla porta e mi chiedeva “come stai Debby?”, ma davvero lo aveva fatto? Perché per me quei gesti erano così difficili da comprendere?
Leggesse ora me lo troverei fuori di casa dopo un’ora, giusto il tempo di lasciare il lago e quella collina dove si affaccia la sua casa, dove non ha televisione ma un sacco di libri e anche quelli che ha usato per conseguire un altro diploma, ma che testa ha quel ragazzo?
Lui non invecchierà mai, curioso della vita.
Ed io lo capisco.
Giro il viso verso la finestra, sta per piovere e sono tranquilla.
Il lago può aspettare, ma non molto, finito questo periodo buio, voglio andare da tutti quelli che mi hanno fatto bene, partirò da lui, da quell’aperitivo e da quelle chiacchiere che non finiranno più, magari mi scapperà qualche sbadiglio e lui se ne accorgerà.
Marco, perdonami se non alzerò gli occhi ma ho troppa paura e questo che credo coraggio, invece è solo tanta malinconia.