Prime luminarie per le vie.
Il profilo del Natale che già si espande, disegnato sulle vetrine e oltre le porte.
Il freddo che va e viene, un’intermittenza che mi fa sorridere, mentre questa mattina il vetro dell’auto è praticamente ricoperto di ghiaccio.
Metto in moto e aspetto. Lo schermo del cellulare che si riempie di simbolini colorati e la porta di casa che ancora non si apre, so già che faremo tardi anche questa mattina.
I suoi capelli lunghi da pettinare e la maglia che oggi su quei jeans non va. La vita alta che è ritornata di moda, abbandonata poco prima che nascesse mia figlia.
Sì, perché si entrava nel periodo del jeans a zampa e le vite basse in quegli anni. Lo ricordo ora come un film: camminavo per le strade e immaginavo a quando mia figlia sarebbe stata una ragazza e da quali mode avrebbe preso spunto.
Lei che ama il bello, gli accessori mai abbinati a caso, come piace fare a me ogni giorno. Una sorta di routine o di gratitudine verso se stessi.
Durante quelle passeggiate mentre osservavo quelle gioventù e sapevo che sarei diventato padre credevo che, certo non sarebbe stato semplice, ma non sarei stato di quei padri amici che accontentano ogni capriccio, non un fratello e tanto meno un estraneo, ma un genitore presente, amichevole se necessario e severo al punto giusto.
Una guida, un sostegno. La figura di riferimento.
Ecco che finalmente la porta si apre.
Ha indossato un cappello di lana colorata con un grosso pon pon.
“Non stiamo andando in montagna ma a scuola!” Le dico ridendo.
“Papà, se non richiamo l’inverno a qualche modo, non arriverà mai a portarci la neve!”
Metto in moto e sorrido, perché in fondo ha ragione, in questo modo potrei starmene a casa al caldo, magari tra i monti che amiamo entrambi.
(Dall’esperienza di un padre che ama la montagna)