Le ultime luci d’estate.
Il caldo ancora prepotente e il lento cullare dei desideri.
La vedo, così, dentro i suoi ricordi.
La vedo come se potessi abbozzare uno schizzo a carboncino di lei avvolta dai pensieri, indelebile e fragile nel diventare madre.
Le mani curate e la perfezione del viso, rigato dalla stanchezza opacizzata sotto il trucco fatto al mattino per ingannare l’attesa, per ingannare i dolori che bussavano prepotenti.
L’attesa.
La chiamano così, quella più grande.
L’arrivo.
Della vita.
La vedo. Lei. Gridare, fuori e dentro, rimproverarsi che non deve andare cosí, di essere più forte.
La vedo.
E mi rivedo.
Nello schiaffo del suo racconto mi immedesimo e mi risento. Nel caldo della mia pelle sofferente, stanca o meglio sfinita, di un’attesa infinita. Di quei tre giorni lunghi e senza ore, continui, senza giorno e notte, solo tensione e dolori, bocca arsa e lenzuola strette sotto i polpastrelli.
La vedo e mi vedo.
Noi così diverse dal fuori con una esperienza simile, diventare madri con il lungo morso della paura e poi della liberazione.
Dell’urlo dei nostri cuori, sia di carne che di sentimento.
Rivedo le mie notti dopo, mentre fuori pioveva e sul viso le lacrime mute di chi ha il corpo dolorante e la fragilità del non sapere se sará in grado, quella che poi torna a volte a bussare nel silenzio e bisogna che mi nasconda da occhi e specchi, per non vedermi e così ricompormi in fretta.
Non riconoscermi e non sapere come fare a strapparmi un sorriso.
La vedo e mi sento.
Madri forti dicono, ma dentro spesso noi non ci sentiamo abbastanza all’altezza.
Così mi lascio trasportare dalle emozioni che vogliono prendere il valore di parole, le sento scalpitare dopo aver letto le sue frasi sotto gli auguri alla sua piccola donna, sotto quello che tempo fa era un sogno, ora liberarsi e insegnarmi a non avere paura di avere freddo davanti alla vita che è vivace, a non essere finta con continui sorrisi mentre dentro mi sento fragile. Spesso dimentichiamo di avere il coraggio, soprattutto quello di dire le cose come veramente sono invece di nasconderci dietro la perfezione che là fuori sembra vogliano chiederci tutti.
(Dedicato a M.)