Gocce di memoria

Da giorni mi sveglio con in mente una persona, penso accada perché vuole farsi ricordare.

Ritorno bambina per entrare di nuovo nella sua casa, sento la mano di mia madre nella mia per attraversare la strada, i due gradini prima della porta d’ingresso, che poi in realtà era una sorta di finestra, infatti aveva le ante esterne che venivano chiuse alla sera, qualche pianta su quel piccolo pianerottolo e le tende bianche per non mostrare l’interno.

La luce, ricordo il tavolo proprio appena dentro, la cucina molto illuminata e sulla destra una sorta di porticina che dava su una dispensa.

Sento la voce del marito, che cosa strana, la mente la fa riaffiorare, opaca, lenta, come un pò era lui.

La vedo, lei, piccola, rotondetta, i capelli sparpagliati sulla testa, il viso paffuto e materno, gli occhiali dalle lenti spesse, il sorriso affabile, una vestaglietta comoda.

La sua voce non la sento, ci provo ma in questo istante non la colgo.

Andavo a giocare con suo figlio, mi ricordo la scaletta a chiocciola per salire al piano di sopra, adoravo quell’angolo spesso buio, dove sotto c’era la cuccetta del gatto.

Scalini piccoli, verso poi il labirinto delle stanze, la camera illuminata, il letto incastrato sotto l’armadio, le figurine, il tempo che sbiadisce i profili ma non ora mentre ricordo nitidamente anche la televisione accesa nel salone e lui ragazzino che giocava a “Super Mario”.

Mi pare che la finestra della sala fosse spesso chiusa o forse è la sensazione del ricordo, perché ha una fine sbiadita.

Non sento profumi ma forse riaffiora una voce, quasi rauca, anzi ne sono certa che l’avesse così.

E mamma che la chiamava “Signora Ornella”, il rispetto, il riguardo, per una persona di ruolo.

Noi la vedevamo spesso in tenuta casalinga perché abitavamo vicini, ma lei era una maestra e poi divenne il sindaco del nostro paese.

Lei che passava dalla biblioteca e sceglieva i libricini per bimbi e me li portava a casa, lei mi fece la scheda e ricordo i fogli grandi intestati a mio nome in quelle cartellette enormi catalogate in una libreria alta in quello studio buio e pieno di testi. Avevo letto talmente tanti libri che non avevo più scelta, ero curiosa, mi piacevano e lei iniziò a portarmeli all’età di cinque anni, quando ancora me li leggeva mamma. Mi incuriosiva, aveva già capito, da maestra attenta, cosa mi piacesse, aveva letto nei miei occhi la sensibilità, l’estro.

E oggi mi ritrovo qui a scrivere di lei, per ricordarla, chissà se quel giorno di tanti anni fa quando entrò in un negozio a comprarmi la cartella gialla con i cuoricini bianchi della Barbie mora, pensò che dentro ci avrei messo tanti sogni. 

Sì, perché lei volle regalarmi qualcosa per iniziare il mio percorso alla scuola elementare e ricordo quel giorno, venne da noi e io non sapevo che dire nel vedere quel bel regalo, aprendo la cartella, oltre a trovarci dentro l’astuccio coordinato, ci trovai una stoffa blu con i quadratini bianchi.

La prese e disse a mamma di farmi un vestitino visto che lei sapeva cucire.

Ci teneva.

Forse ero un pò quella figlia femmina che aveva desiderato.

Il voler bene delle persone spesso si vede dai piccoli gesti, dall’attenzione per l’altro.

I ricordi si sbiadiscono.

Si allentano.

Diventano una foto statica di lei con indosso una camicetta con il colletto da bimba, di quelli larghi e merlettati.

Lei ancora giovane, impoverita negli occhi da una malattia flebile e silenziosa, era diventata fragile e come se un’altra persona. 

Sono trascorsi troppi anni, ma oggi quelli senza di lei si sono frantumati e io l’ho riportata qui, anche se quella casa non è più come allora, anche se non sono più una bambina, anche se non si possono riportare le persone, so che lei è lì e ne sento ora forte la voce richiamare suo marito e mi scappa un sorriso.

Attraverso la strada della mente e torno a casa, non mi volto, lascio un fiore dentro al cuore.

E se scrivo oggi è anche merito suo, Signora Ornella.

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2021-01-28T09:17:38+01:00