Essere nuda dinanzi alle emozioni.
Sensazioni che restano a fior di pelle in attesa di essere travolte.
La solitudine delle sue giornate, incanalate in un lavoro che le portava soddisfazioni ma che il più delle volte sentiva come una prigione. Voleva essere là fuori, anche solo per non avere le gambe ferme sotto una scrivania e le dita a intermittenza sulla tastiera.
Voleva essere là fuori, in un posto qualsiasi ma lontano.
Anche solo a casa.
Lì non si sentiva mai sola. Tra i suoi ninnoli, tra le stoffe colorate che amava imbastire nei fine settimana e farne degli abitini carini anche per le amiche, tra i segni del tempo che sui muri delle pareti raccontavano ancora aromi di un’infanzia che spesso riaffiorava.
Era la casa dov’era nata e cresciuta, lasciatole dai suoi genitori, perché per loro era diventata troppo grande.
Si sentiva come una ragazzina a scuola in attesa del suono della campanella, per raccattare velocemente le sue cose e correre fuori ad annusare la primavera, come quel sorriso che le si stampa in volto e la porta lontano con la mente e non le importa se i suoi colleghi se ne accorgono, magari riesce a contagiarli.
Troppo adulti a volte per ritrovarsi capaci di capire o troppo ancorati ad una realtà che spesso diventa apatica.
La mano sul bordo della camicia a fiori e già lo schermo del computer spento, un appuntamento poco distante e le labbra già trepidanti, le scale come se fossero grilli e l’uscita.
Le prigioni ce le creiamo.
E lui, là. Come respiro nuovo. Un abbraccio oltre le luci della sera che ancora non calano ma incominciano ad insabbiarsi, primavera che appare lenta ma non timida, lei si fa comunque sentire sotto tutto.
Un abbraccio che sa di riparo, le dita calde tra i bottoni della sua camicia che lei aveva stirato con cura, il petto rischiarato da una risata adolescente di lui che non ha paura di essere trattenuta.
L’amore è così: ritrovarsi sempre con se stessi anche nel contatto di chi abbiamo attorno e scelto perché ci completa.