C’è ancora tempo

Parte il pianoforte e si alzano i brividi sulla pelle.

Respiro profondo e lascio fare alla musica.

Quante volte ascoltai quel brano. Vedo ancora il tempo fuori da quella finestra sciogliersi e lasciarmi ragazzina tra le lacrime di un amore finito.

Mi tocco i capelli e la pelle nuda sotto questa canottiera sgualcita, mi fanno sentire come diversa, come se neppure fossi qui, dentro un cuore che annaspa.

La voce angelica che mi scivola dentro l’anima e mi fa stare meglio, riscopro tra le guance il sorriso e mi bastava così poco?

Voglio lasciare fuori i pensieri, quel ieri che mi ha mortificata, appallottolata e gettata di sotto.

Quelle brutte frasi che sono rimaste incastrate tra i denti e sono uscite sotto gli occhi perché le ciglia non sono abbastanza forti.

Quello di cui ho bisogno lo so solo io e devo imparare ad andare a prenderlo da sola e basta questo poco a riportarmi un pò di me, di questa sensibilità che adoro anche se spesso ci litigo.

“…and a better dream…” 

Il sogno migliore per restare a galla, sono due occhi che non avevo mai provato a disegnare perché non credevo fosse più possibile.

Ieri è successa una cosa, quello che capita ogni volta che mi sembra di rasentare il fondo ed è terribile. Ho sentito che era lì seduto sulla scala e mi sono voltata.

La forza di un figlio che non posso toccare è più vera di un abbraccio che ho elemosinato e non c’è stato.

Mi sono persa ed è dura ora ritrovarsi.

E lui era lì a dirmi che c’è, poi ho stretto suo fratello, ho mollato tutto e me lo sono abbracciata anche se si divincolava. Vorrei per lui sentimenti forti e non menefreghismo, vorrei si meravigliasse della vita, vorrei alzasse gli occhi e si innamorasse del cielo.

Vorrei essere io stessa a ritornare così.

E dove sono andata?

Dove sono ora?

Ieri pomeriggio su quel letto mi sono sentita svuotare e il dolore stava diventando fisico che appena ho aperto bocca, anche la voce era cambiata.

Si chiede aiuto e se non c’è è come quel treno di quella notte.

Vuoto. Il vuoto. Rotaie che rimbombano con il loro stridio dentro ad una stazione deserta.

E ora fuori sta diluviando alla fine di questo mese di agosto.

Sarebbe bastato un “io sono qui” ma detto davvero, non voltato dall’altra parte con un sorriso beffardo.

La derisione.

La mia punizione.

Queste note portano tutto a galla, benedetta musica che mi alleggerisce e vorrei sparire davvero. 

Andare lontano, riprendere quel treno e dimenticarmi, camminare tra viuzze e credere che sia tutto perfetto.

Dentro scalcio, dentro sento la lava ribollire e poi da dove dovrebbe uscire?

Resta lì e sto male.

Le parole di nuovo a fare da medicina.

Questo dono che mi fa battere lettere a ritmo di quei tasti di pianoforte.

Un sincrono di anima.

Portami via da qui…

(Con “Dancing” di Elisa)

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2020-08-30T08:19:14+01:00