Le finestre alte, slanciate lungo il paesaggio che sa di ricordi, di vita, di un tempo stato mio e nel quale sono cresciuta.
La tavola imbandita, i colori della primavera, la dolcezza dei profumi dei fiori che sbocciano e di quelli colti e messi in un vaso per alleggerire la sobrietà di casa, del mio nido, del vociare di tante cose che mi portano lontano.
Dentro al tempo, dentro alla vita che custodisco gelosamente oltre i miei occhi che fanno da scudo, perché proteggono una storia che non riesco a raccontare facilmente: la mia.
Le mie figlie a casa, assieme a me e ne avevo bisogno, la ricarica del loro aroma, del loro bagaglio fatto di esperienze. Adulte, responsabili, colte, piene di curiosità, qui al mio fianco.
E il braccio caldo della mia piccola donna che mi sfiora l’avambraccio e posa la testa a lato della mia spalla, come per rassicurarmi, come se dovesse sottolineare che è qui, mi calma, sussurra con i suoi gesti un qualcosa che non ha voce, ma sta attenuando le mie pene, le mie colpe e quel senso di irrequietezza che spesso ancora si impossessano del mio io.
Lei mi sorregge, lo fa anche la sorella, la primogenita, che è stata come una conchiglia colta sulla spiaggia in una sera d’estate calma e calda. Così rivivo la sua attesa, come un sogno cullante, prima che la vita potesse mettermi alla prova per troppe volte, mentre pensavo che poterle dare una sorella o un fratello fosse semplice e invece non lo è stato.
La voglia di maternità era insita in me, io vedevo come una missione il gesto di procreare, sentivo che se esistevo io potevo dare la possibilità ad un altro essere umano di esistere.
Così sono stata scelta tante volte, anche se tre volte quella voce esterna, in un ambulatorio asettico mi aveva troncato un sogno. Disegni che ho dovuto riporre e lasciare incompleti.
Come quella tutina di lana azzurra comprata nella gioia del momento ventidue anni fa, immaginando già un maschietto tra le mie braccia, invece resta in un angolo dell’armadio ancora avvolta nella sua scatola a ricordarmi che resto mamma di un sogno che non ha un nome, ma mille espressioni che spesso mi trovo ad immaginare.
Dopo di lui, ancora la ricerca del senso della vita, sebbene mi sentissi impotente e fragile, avvolta da mille paure, forse anche un pò incosciente, ma ero di nuovo in attesa, accarezzavo la vita con la punta delle dita, sapevo che era dentro di me e quella volta la sorpresa fu doppia perché la dottoressa mi disse che vedeva due cosine.
Doppia emozione, doppia paura, doppia responsabilità, quadrupla felicità…tutto raddoppiato.
Però non era finita. Chissà cosa dovevo ancora scontare nella mia vita, perché un giorno caldo di luglio di nuovo quel sogno a spezzarsi, ma uno c’era, un cuore dentro di me continuava a battere, era lì, aveva trovato la forza di resistere a quell’ennesimo temporale devastante che mi voleva trascinare via. Era una cosina coraggiosa ed io da lei presi la forza per combattere, rimasi buona a letto per alcuni mesi, presi i farmaci che dovevo per permetterle di restare calma dentro di me ancora per un pò e così, a modo suo mi dava forza ed energia, senza mai dimenticare la mia prima bimba di quattro anni che ci aspettava a casa, aspettava l’arrivo della sorellina.
Forse queste prove mi hanno resa molto protettiva nei confronti della più piccola, avevo paura potesse succederle qualcosa, mi sentivo imperfetta, sentivo che avevo qualcosa che non andava se non ero riuscita a portare avanti ben tre gravidanze, infatti anni dopo arrivò la diagnosi che poteva finalmente rimettere qualche tassello a posto.
Ora sono qui che le guardo, le proteggo con i miei occhi, le stringo tra le mie braccia, ascolto i loro aneddoti, coloro le mie giornate immaginando i loro incontri e i loro prossimi obiettivi.
Mi perdo pensando a cosa è stato, a come alcune volte mi sia sentita piccola e sgretolata per aver perso piccole parti di me, quelle che restano dentro e che sono diventate indispensabili altrove.
Mi perdo per poi ritrovarmi in loro, il mio senso, il mio ossigeno.
In fondo una madre viaggia dentro i passi di chi ha messo al mondo, ecco cosa vuol dire per me esistere.
(Dall’esperienza di E.)