Non scrivo da settimane, non riesco, ho un blocco, un senso di impotenza che mi schiaccia il petto e mi sembra di vivere senza un braccio, perché per me scrivere è vitale.
Accendo il computer, metto le cuffie e scelgo quel brano, quello che mi ha accompagnata spesso.
L’unico che non mi stancherò mai di ascoltare neppure dopo un giorno intero e sento i brividi lungo la schiena, sento che si apre qualcosa.
La pelle si sveglia, si alza, si accappona, sorrido e gli occhi si riempiono di lacrime.
Il mio bisogno.
Vorrei il volume al massimo ma già lo è, deve grattarmi via ogni corteccia, ogni increspatura deve essere tesa, il tempo che mi serve per raccogliermi, il senso di dispersione che va a stringersi attorno ai polsi per farmi alzare le braccia in segno di resa.
E’ così che ora mi libero e scorrono le parole.
Piano crollano da un dirupo.
Qualcosa che le labbra non possono pronunciare e che per rispetto ora restano dentro, incastrate, anche se premono e io le ingoio violentemente facendomi anche del male.
Qualcuno mi ha insegnato a non trattenerle ma ora non posso fare altro.
E si alza il ritmo di questo pezzo e va a parare dentro e mi corrono le dita sulla tastiera che sembrano prede che scappano da un cacciatore della savana troppo affamato.
Non c’è scampo.
Ho potenza dentro e nessuno potrà fermarmi, uno scatto e mi metto al riparo, forse da me stessa.
Mi vibra il cuore, quello colmo di mille sentimenti e emozioni, quello raro che è stato così dannatamente messo alla gogna, quello che però ha ripreso la sua rivincita e fanculo tutto, ma non molla, non molla quello che porta al suo interno perché ci crede talmente tanto che la testa potrà avere anche la meglio ma non ora.
Non ci casco.
So innamorarmi delle piccole cose, di quell’oltre che in questo mondo bastardo spesso ci sfugge di mano.
Come quando il sole batte sull’acqua e la fa brillare, come quando una formica raccoglie una briciola e si allontana piano, come quando apri un libro e senti il profumo di una storia nuova, come quando lo guardo e lo aspetto e sento il suo respiro.
Lento, nella mia protezione, io che dentro alla mia guerra mi sono spesso dovuta sedere sul bordo di un marciapiede o sul gradino di una casa, ma ora di sera riesco anche a fare chilometri da sola.
Il coraggio di combattere.
E le note imperversano, inizio a sentire freddo, un freddo che parte da dentro e si incastra nelle vene, perché io ho già capito ogni cosa ma non voglio ascoltare.
Si alza il ritmo della chitarra, la batteria mi fa vibrare i polpastrelli, mi sento esplodere, mi brucia la gola sebbene non abbia parlato.
Questo pezzo che mi ha accompagnato mentre dovevo dimenticare, ora riporta addosso la voglia di riscatto, il senso di liberazione come un bacio che si scioglie e diventa corpo e io quel corpo lo voglio, voglio quegli occhi addosso e dentro, quelli che mi spogliano e affondano, come se fossi un pozzo e dal quale tira fuori il bello di me.
Privilegio.
Il suo. Il mio.
Abbasso le palpebre e lo sento.
Fanculo tutto, farò pure fatica a fare uscire le parole, ma dentro ho il cuore che brucia.
(Con base “Open your eyes” degli Alter Bridge)