Spalle nude, l’acqua scivola e mi riempie di strane sensazioni.
Brividi sotto il fiume caldo ma non entra dentro e questo senso di vuoto mi allarga le tempie.
Le lacrime si confondono e non le trattengo.
Stringo le braccia a proteggermi mentre i capelli mi ricadono sul viso inadeguati come me.
Fragile sotto un manto di cemento, una statua vuota che potrebbe creparsi con un solo tocco.
Gli occhi bellissimi ma ora apatici, svuotati.
E’ successo, sono caduta.
Ieri.
Senza aggrapparmi a nulla.
Un manto nero davanti e non ci sono parole che mi toccano.
In un angolo buio della cucina ho sentito i polsi tremare, un collasso emotivo durato minuti, come sotto quell’acqua che non smetteva di bruciare ma che non mi scaldava.
Oggi.
In silenzio.
Ferma.
Non riuscire ad esserci, il peso insopportabile di non essere in grado, come se avessi le gambe legate al terreno e non riuscire a spostarmi.
Scrivo per il tormento, per il malessere, per il malumore, per il trambusto che dentro batte vorace.
Il flebile tono dentro al petto che cerca di urlare e svegliarmi.
Ho bisogno di essere accolta.
Un bastone abbandonato in mezzo al nulla.
Insabbiato, spelato, spezzato.
Ricoperto di tempo imperfetto.
Non alzo gli occhi, mi fanno male le palpebre, non mi riconosco più.
E’ bastata una frase per farmi collassare dentro, sono bastate dieci parole a darmi un pugno in faccia e ad accartocciarmi tutta verso l’interno, a chiedermi cosa stessi sbagliando, a punirmi di carenze che so di non avere, ma le spalle al muro fanno male se dentro hanno già mille chiodi che non riesco a sfilare.
La sensibilità non è per tutti.
E in molti se ne vantano senza sapere davvero di cosa parlano.
Lacerazioni mentali che si aprono all’istante.
Poi passa, come sempre.
Il gelo passa e le strade tornano a ribollire di sole, l’asfalto si crepa e può anche crollare, fallare.
Franare.
Demolire.
Non sono io.