Io, Debora

Una maglia grigia troppo grande per questo corpo esile.

La schiena che trema e le gambe nude strette al petto.

L’attesa che fa male e le labbra da bagnare.

Il vento che picchia sui vetri.

Quante volte sono stata ragazzina dentro gli occhi degli altri?

Non riesco a spiegarmelo.

Questa notte così lunga da fare quasi male e a quella porta non bussa nessuno, il soffitto che pare giri, sudo e non ha senso.

L’ho provata la vera solitudine e gratta, anche se stai in mezzo a mille persone.

Ed è proprio in questa notte, quella notte che l’ho sentita per la prima volta.

Sono giorni lontani da casa, una prova difficile ma che ho voluto con tutta me stessa.

La schiena su dal letto così grande e fuori una città così diversa da me, così elegantemente magica che non so neppure se cambiare nome.

E mentre sono qui mille pensieri mi corrono addosso e ancora non so quello che mi aspetta.

Domani, tra un anno e quello che tra dieci anni scriverò su carta e sulla mia pelle una notte di agosto.

Ora sono qui, un albergo dalle stanze con le pareti bianche e le finestre alte che si affacciano su una via illuminata a giorno. Scosto la tenda imponente e vedo il palazzo qui davanti così simile a questo e pare odori di non tempo. 

Vienna.

Siamo già al ritorno.

E lì si è rotto tutto. 

Anche se il viaggio è continuato ma un un filo della mia trama è rimasto incagliato lì.

Mi alzo, i piedi nudi su questa moquette grigia, vedo il cellulare sul comodino e il telefono che squilla ancora, la voce che si rompe, sono entrata in un tempo non tempo.

Voglio scappare perché so che sono caduta dentro ad una trappola.

Come avrei voluto essere più forte, come ho fatto ad abbandonarmi mentre stavo precipitando? Proprio lì, è stato quando ho perso il respiro.

Mi guardo allo specchio di questo bagno senza linee e vedo un volto che non riconosco, una che è stata dipinta come un mostro e poi ci crederò talmente tante volte da perdere la fiducia in me stessa.

Debora.

Sì, stavolta scrivo di me, di quella che sono stata e che in tanti hanno guardato dimenticandosene le fattezze, di quella che si nascondeva dentro i maglioni di suo fratello perché lì si sentiva sicura e invece sotto aveva un corpo di cui andare fiera. Lo stesso corpo che poi l’ha tradita, quello che l’ha retta a stento per un periodo talmente lungo da farle perdere tanta lucidità delle giornate, come quella volta vicino al mare toscano. Non ricordare nulla, tutto uno sbiadire che si incastra a altro fumo senza sigarette.

Non fa male a quest’ora, nulla fa più male se c’è consapevolezza e io ne ho parecchia.

Lo specchio ora non è più quello di un albergo lineare, non è più quello antico incassato in un armadio di legno, non è più quello appeso in un’anticamera accampata in cima a delle scale di pietra, non è più quello di due occhi che ho amato voracemente.

Vedo lo specchio dentro di me mentre scrivo.

Il mio unico riparo.

Io che ho imparato nelle notti d’estate mentre ero innamorata di un uomo più grande e che non ho mai toccato e ora questa cosa mi fa sorridere talmente tanto, perché lui mi ha insegnato davvero quella parola e mi ha portato nella sua vita come se davvero ci fosse tutto un reale da incastrare ma invece non c’è stato il coraggio da nessuna delle due parti.

Ho il ricordo, lui mi ha lasciato la favola sotto le dita e dentro la mente.

Poi c’è stato l’insegnamento di una donna che se n’è andata troppo presto e che so ora sarebbe fiera di me, delle mie parole, di tutto quel sentimento che mi esce.

Io, Debora.

I capelli cresciuti sulle spalle che a volte fanno male, i segni sul viso di un’età che sta per cambiare e che mi piacciono un sacco e gli occhi che non cambiano ma si riempiono di cose nuove da scrutare e di bellezze che partono dal cuore.

I piedi ora sono incrociati su questo divano color panna e la testa si ingarbuglia, non fa male ma riporta ogni attimo che a quest’ora vuole riaffiorare.

Quella canzone che mi accompagna da anni ormai, quella che è stata colonna sonora ai miei romanzi, alle storie disconnesse che sembrano realtà vissute e ogni volta quelle note mi fanno saltare il brividi sulla pelle da non resistere.

Saprei io resistermi?

Guardo i suoi occhi, diventati i miei ed ho così paura che scosto lo sguardo e inizio a sorridere.

Mi sembra quel mattino di gennaio mentre fuori nevicava, il maglione azzurro che mi segnava le forme di ragazza e lui lontano, tra gli altri adolescenti, un gioco di sguardi e poi sparire tra la folla, chissà chi era, chissà cos’è diventato, chissà in che storia avrei potuto collocarlo e invece a quest’ora lo metto qui, proprio tra le righe che descrivono me.

C’è stato chi ha tenuto mie rivelazioni di questa mia vita sbadata, persone che dicevano di essere amici e hanno usato i miei segreti per tentare di uccidermi ma devono sapere che c’è stato chi lo ha fatto prima e purtroppo l’anima una volta ferita non si risana più, non si mettono le pezze sugli abiti pregiati.

E io devo pensarci un pò ma poi mi ricordo di quanto valgo anche se succede dopo che ho sofferto per l’ennesima volta, ma non cambierei quella che sono neppure se mi facessero vedere una vita diversa. 

Perché io so innamorarmi costantemente di quella che mi è stato offerta anche se ho creduto fosse una delusione, però le ricordo le notti senza fretta e io sono rimasta là seduta su un letto a guardare oltre una finestra e ancora lì non sapevo nulla di quello che avrei dovuto attraversare e la mia certezza è che quella ragazza esiste ancora e mi salverà sempre.

Debora.

Un gran casino e se c’è davvero qualcuno che resta è perché il profondo di quegli occhi lo ha visto e non è annegato ma ci ha nuotato guardando il cielo.

(Grazie a chi ha voglia di accogliermi, grazie a chi non se n’è mai andato, grazie a chi invece ha preferito farlo in silenzio, grazie anche a chi ha fatto un gran casino girando l’arco verso il mio petto e grazie a chi non potrò mai ringraziare ma che comunque sa)

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2020-05-23T09:23:22+01:00