Mi guardo le mani, screpolate, dopo che ho piantato i fiori sul balcone.
Mentre mescolo la pasta nella pentola con i manici d’acciaio.
Mentre penso a quel tempo andato e non posso riprendere più.
“Mamma!” E la voce sfuma dietro il muro e io mi giro.
Non c’è, è là fuori lontano chilometri e mi manca quando entrava in casa dopo scuola.
Sono madre di un uomo che passeggia lungo il tempo e dentro i suoi occhi mi ritrovo in posti che non visiterò mai.
“Mamma!” E sento i tacchi lungo le scale.
Figlia. Come quando lo ero io e non potevo capire.
Mi volto e non c’è.
Lontana chilometri e vite, madre a sua volta e cerco di fare silenzio per non disturbare il suo dono.
Non intromettermi.
Mescolo gli anni che sul mio viso si sono trasformati in rughe che forse non vorrei vedere riflesse nello specchio e dentro il corpo cambiato e flebile dietro abiti che credevo di ragazza.
Suona il telefono e sento le loro voci in coro, sono assieme e io mi sollevo da terra, mi siedo e ascolto.
“Mamma! Auguri!”
Apro la fotocamera e poggio la mano al mento, li guardo bene.
Li ringrazio e dentro gli occhi della mia memoria li ritrovo piccoli nanetti attorno alle mie gambe, correre e poi stancarsi e respirare piano, sotto le mie mani ancora troppo grandi per essere strette davanti ad una piazza dopo la loro laurea, dopo il loro matrimonio, dopo le loro partenze, dopo gli addii.
“Mamma!” E mi sistemo i capelli dietro le orecchie, passo le labbra con un filo di rossetto e infilo un paio di occhiali da sole per uscire a camminare fiera lungo un marciapiede che mi porta nei soliti posti di una vita.
Sento le voci di bambini.
“Mamma!” E chiamano la loro, giovane, fresca, come quelle primavere asciutte dei miei anni in camicette a fiori e gonne a pieghe, mentre attaccato ai polsi portavo i loro cappelli che non volevano più indossare e che perdevano per strada per la troppa voglia di andare in bicicletta.
“Mamma!” E non ricordo più il mio nome di battesimo.
Forse lo sono sempre stata o forse mai, io che durante le notti buie dentro ad un letto, non sentivo crescere dentro di me un mondo ma avevo un sacco di paura, perché troppo inesperta già della mia vita, ma poi ho imparato e credo di non aver mai smesso di studiare.
“Mamma!” E ricordo quando chiamavo la mia, dalla mia stanza fredda, le sue mani screpolate e troppo grandi sulla mia fronte, ma era il calore che calmava i miei demoni.
Lei che mi manca, soprattutto ora che sono adulta e chiedere un abbraccio forse è da deboli.
Alzo gli occhi verso il cielo e chiedo solo un segno.
Passa una farfalla ed è subito un sorriso sulle mie labbra.
Così finisco il mio giro, abbasso gli occhiali, osservo più in là, in questa giornata importante per tanti, per tante donne, anche per quelle che non sono diventate madri di sangue, ma lo sono di cuore, per quelle donne che hanno sofferto i dolori di parti difficili e quelle che hanno vissuto gli addii della morte.
Madri che si vedono brutte, trasparenti, donne sorde di affetti, che sono state messe in un angolo proprio dagli amori del loro cuore e grembo.
Ogni madre va oggi ricordata, come un fiore che va accudito, come una piuma che passa e si appoggia ad un davanzale e poi va, porta un messaggio da un’altra parte.
Madri che ci sono state, che restano profumi nel ricordo, come quelle che quando aprivi la porta dicevano: “Finalmente sei a casa!”
“Sì mamma, non sono mai andato via…da te.”
(Dedicato a noi madri, dedicato alle mamme e soprattutto tra queste righe il ricordo di mia mamma, di mia nonna, di mamme amiche e di un figlio a cui manca la propria mamma)