Le onde del mare battono contro la battigia.
Fa freddo e tengo stretto il cardigan sulle spalle, i piedi nudi e il vestito di lino che sfiora le caviglie.
Le lacrime che rigano le guance, le dita fredde rivestite di smalto rosso laccato.
L’estate che gratta le ultime ore e io che mi voglio perdere lungo questo confine di sabbia fresca e a rendere mille suoni che si svelano con la notte.
Dietro un locale lontano odo le ultime voci, risate che non sanno che io sono qui sola, a raccontare al mare che non ho voglia di partire e tornare in un mondo che non mi appartiene più.
La valigia già in macchina e sul sedile del passeggero un biglietto pieno di inchiostro nero, bucato in più punti per la rabbia di doversi dire addio.
Mi corrono i capelli sul viso, mentre il vento ha aumentato la sua vivacità.
Mi allontano e appena raggiungo la passerella in legno indosso di nuovo le mie sneakers bianche, allaccio il tempo di passi che forse ritroverò tra un anno, in questo posto del cuore.
Sono sulla strada, mi volto e con gli occhi gonfi abbasso le palpebre e tengo dentro il profumo di mare, questi saluti fanno sempre troppo male al cuore e alla bocca dello stomaco.
Pochi passi e raggiungo la macchina.
Alfredo sta fumando una sigaretta sulla porta dell’albergo, mi avvicino per dargli un ultimo abbraccio, ho quasi l’impulso di scoppiare in un pianto liberatorio tra le sue braccia ma mi trattengo, un ultimo cenno della mano prima di imboccare la strada e sparire nella notte.
Un’occhiata a quel biglietto che sta fermo lì da una settimana, forse qualcuno passando ha guardato dentro la mia macchina e lo ha letto, qualche piccione curioso di sentimenti che neppure io posso acchiappare.
Il semaforo mi ricorda che devo fermarmi ma che poi devo proseguire dritto e poi di nuovo lungo l’autostrada che mi ha portata qui, poche macchine e la musica che mi accompagna distrattamente.
Infilo gli auricolari e premo quel numero.
Vorrei non rispondesse.
Vorrei fosse solo una distrazione per non permettere ad un sonno che non ho ora, di raggiungermi.
E’ mezzanotte e ho fame di abbracci.
“Matildina.”
“Sto tornando a casa.”
“A quest’ora?”
“Così non becco il traffico.”
“Se ti viene sonno fermati, mi raccomando.”
“Sì papà.”
“Cosa c’è pulcino?”
“Papà voglio tornare da te.”
“Amore, mi dici che è successo?”
“Mi ha lasciata, io ho fatto tutti questi chilometri per lui e lui mi ha lasciata appena sono arrivata qui.”
“Bastardo!” Dice a voce bassa. “Perché me lo dici solo ora?”
“Non avrei dovuto dirtelo del tutto perché so che non ti è mai piaciuto.”
“Non è che non mi piaceva lui, non mi piacevi tu da quando stavi con lui, il mio pulcino è cambiato, non si può perdere tempo con un amore malato e sai quanto lo sappia bene io con tua madre.”
“Lo so papà…scusami.”
“Ora non scusarti e stai attenta alla strada, asciugati gli occhi.”
Come se mi vedesse. Mio padre mi ha cresciuta da sola, mia madre quando io avevo dieci anni decide di scappare in Marocco con un tipo conosciuto al mercato rionale.
“Non sto piangendo.”
“Non mentire anche a tuo padre ora. E torna da me e ci stai tutto il tempo che ti serve.”
Cinque minuti dopo stavamo ridendo e già mi sentivo meglio, mi ero calmata, ero a casa, le luci della mia città si stavano avvicinando dentro la mia mente e io volevo vagare ancora un pò, le cinque del mattino erano vicine e avevo fame, entrai in un paese e vidi un bar aperto, scesi e mi intrufolai piano, un uomo al bancone, oltre al barista giovane e dai grandi occhi gonfi.
Mi sono avvicinata piano e ho chiesto un cornetto con un caffè.
L’uomo da parte a me in tenuta da lavoro, mi guarda e mi dice “nottata lunga vero?”
Abbozzo un sorriso “Sì, rientro dalla Puglia.”
“Io invece inizio tra poco a lavorare.”
“Immaginavo.”
“Lascia che questa colazione te la paghi io.”
“Scherza?”
“No, non scherzo. E’ un piacere e poi domani non ci rivedremo e neppure dopo e a me basta aver iniziato bene la giornata con un bel sorrido come il tuo.” Mi dice.
“Io sono Matilde e grazie.”
“Ricordami come Steve.” Dice mentre esce e invece non sa che è appena entrato nella mia vita. Non lo sa. E’ luglio e io sono capitata qui per caso e ci resterò per sempre.
Riparto sorridendo. Lui è davanti a me con la sua macchina e prima di svoltare a destra per raggiungere il posto di lavoro mi lascia un cenno di mano.
Proseguo dritta e guardo sul sedile del passeggero.
Il biglietto di addio non c’è più.