Il manubrio arrugginito di una bicicletta vecchia. Quella di nonno Pino.
Pedalo e stride la catena.
Sotto l’ascella tengo il giornale di oggi, corro da papà in officina a portarglielo e poi raggiungo gli amici fuori dall’oratorio.
Luglio e l’aria leggera del dopo pioggia di stanotte, l’asfalto che ancora emana l’odore di bagnato.
Sono lì che mi aspettano, oggi andremo al canale e poi giù a prendere le carpe per la grigliata di stasera.
“Oh ma sai che stasera viene pure la sorella del Gian?”
“Chi?”
“Non fare finta di nulla che lo sanno pure i muri che ti piace!”
E ridono.
“Giulia…” Lo sussurro.
“Eh certo la Giulia…e allora deciditi a chiederle di mettersi con te, che ha la fila ma ti sta aspettando!”
“Me?”
“Te! Timidone!” E mi fanno il verso.
Arriva sera e mi sono fatto la doccia, passato la lametta sui baffetti che incominciano a uscire e metto il profumo ai lati del collo, indosso una camicia bianca.
“Non la fate più la grigliata?” Chiede mamma.
“Sì sto andando da Gigi infatti!”
“Con la camicia della cresima di tuo fratello e ti sei fatto la barba?”
“E allora?”
“No no niente…divertitevi!”
“Ah Giovà, fa l’omo!” Urla mio padre.
Scuoto la testa e rido, salto sulla bicicletta e faccio il giro lungo per vedere se per strada trovo Giulia. E infatti eccola lì, ha i capelli sciolti sulle spalle e una salopette di jeans bianca, le espadrillas che le segnano le caviglie fini.
Mi faccio vicino e rallento con la bicicletta.
“Giulia…”
Si gira. “Giovanni, ciao. Stai andando alla grigliata?”
“Sì però se vuoi prima ci fermiamo cinque minuti alla fontana”
Mi guarda e sorride. “Che buon profumo hai… Si, fermiamoci.”
Butto la bicicletta in terra e andiamo a sederci. Siamo così vicini, lei è così bella, così perfetta. Non eravamo mai stati soli come ora.
“Sei tanto elegante…” Dice piano lei.
“E tu…più bella del solito.” E le accarezzo la guancia. Mi pare stia tremando, ma mi faccio più vicino, voglio baciarla. Mi bagno le labbra piano un attimo prima, ho la testa che pulsa, poggio le labbra alle sue e viene tutto automatico, magico.
Le mie mani sulla sua nuca e sulle sue braccia e sento le sue sulla mia schiena.
Mi stacco e ho il fuoco sulle guance.
“Io non ci voglio andare alla grigliata.” Mi dice abbassando gli occhi sulle sue ginocchia.
“E noi non ci andremo!” Le prendo la mano e le dico di seguirmi, raccatto la bici di nonno Pino e appena sono stabile le faccio cenno di sedersi sulla canna.
Pedalo piano e andiamo vicino alla rocca, lì c’è un chiosco, vende panini e bibite, prendo qualcosa e ci mettiamo a mangiare seduti sul prato.
Passeggio oggi, dopo trent’anni, il chiosco non c’è più, la bicicletta di nonno Pino è finita alla discarica un paio di anni dopo quel giorno, ho le mani in tasca e sento vibrare il cellulare.
Non ascolto.
Non ho voglia di sentire nessuno.
Non oggi.
Questa mattina abbiamo dato l’ultimo saluto a Giulia. La mia Giulia.
Immortale amore mio.
Era bella come il giorno che mi sposò, perché io non sono stato mai in grado di dire di averla sposata, non mi sentivo solo il marito di Giulia, ma il suo tutto e purtroppo non sono stato in grado di salvarla dalla morte bastarda che se l’è portata con sé.
E non sono più riuscito a piangere.
Guardo il prato che ci ha visti amanti nella notte di trent’anni fa e la notte che lei compì sedici anni perse la verginità con un cretino come me, sì perché ero e sono un cretino che a quarantasei anni non sa che fare.
Come potrei ripartire domani?
Come posso mettere in moto la macchina e poggiare la mano destra sul cambio senza sentire la sua sopra che mi scalda il dorso?
Come posso rifare il letto al mattino senza vedere il suo viso che dall’angolo della stanza mi dice che c’è ancora una grinza sul lato sinistro?
Come posso aprire il cancello senza sentire lei che mi urla che è ora di metterci un pò di olio perché cigola?
Come posso portare a spasso il cane senza voltarmi per aspettarla?
Quante cose non potrò più fare.
Soprattutto amare.
Quello si può vivere solo una volta e io ho avuto questa fortuna, ecco perché non sono neppure triste.
Sono solo senza cuore, lo ha portato via lei.
Ed era giusto lo facesse.
Le cose che ci appartengono vanno portate via.