Sogno.
Ed è un profumo.
Un incidere di una canzone senza note.
Si chiama battito.
Le finestre che irradiano una luce che stravolge i contorni, avvolge gli angolo di scrivanie chiare e riflette manate di ore trascorse chiusi in un luogo che racconta fretta e lontananza da casa.
Mi chiedo cosa si nasconda dietro un racconto non scritto, incastonato nella notte che lascia addosso la sensazione meravigliosa della sorpresa, di un profilo che pare conosciuto e invece credo sia solo un desiderio inconscio.
Un gilet color cedro, la camicia dal colletto inamidato ed io che imbarazzata sono poggiata alla scrivania bianca, lui che si avvicina e controlla lo schermo del computer e io sento il contatto, un profumo che non si può descrivere, il sottile disegno che si perde sotto il pomo d’Adamo, la precisione del naso appuntito, i capelli corti e lievemente mossi, il sorriso annunciato e l’incantesimo.
Resta dentro come le pagine colorate e riempite di glitter di un diario in cui l’adolescenza doveva frenare e restare segreta, negli incubi e quelle rabbie e nei sorrisi e le prime cotte.
Un sogno che viene riassorbito da quelle tende e ritorna nel giardino, si riavvolge ma non si dimentica, diventa il protagonista di un racconto che chissà se proseguirà.
Si slaccia il gilet e lo appende al bordo della sedia nera, in salotto, le scarpe lucide in un angolo buio e quello che un uomo non dice ma pensa mentre si rade il viso e ci passa il dopobarba, mentre sotto la canottiera per scivolare sotto le lenzuola, si perde un attimo a pensare all’ennesimo nulla che è pieno di idee per il giorno dopo, in cui ci sarà un amore vero ad aspettarlo.