Sono seduta su una panchina.
Indosso un impermeabile panna dai bottoni grandi neri.
La cintura in vita che raccoglie la stoffa come in un abbraccio.
L’agenda poggiata al ginocchio sinistro mentre lo sguardo si perde davanti, le gambe accavallate e la stazione poco popolata.
Rari arbusti secchi a contornare i binari ed i sassi grigi a raccontare viaggi frettolosi, sperduti nell’alta velocità.
Sciolgo l’elastico nero che tine unite le pagine e la copertina rossa e con l’inchiostro inizio a conteggiare parole e poi le cancello fino a che il treno in arrivo in stazione non si ferma.
Un ragazzo stretto in una giacca di lana blu accosta e dal ticchettio della punta del suo piede destro pare sia nervoso ed impaziente.
Le mani che scivolano fuori dalle tasche in concomitanza con i passi stretti in sneakers bianche di una lei dai lunghi capelli ricci che percorre gli scalini della carrozza.
L’incontro.
I millesimi di secondo di uno che si incastrano in quelli dell’altra.
Un abbraccio che profuma di altri tempi, di un amore lontano inaspettato e aspettato, voluto, taciuto, sofferto, ingoiato e nato semplicemente in una distanza da arrotolare nei silenzi di notti insonni, ma stretti in lenzuola profumate di aromi sconosciuti, perfetti per le reciproche anime.
Li osservo e sono amore.
Li conosco senza sapere chi sono.
Il loro abbraccio è un tutt’uno.
Non ci sono giacche o borse.
Ci sono mani e baci.
C’è unione. Un liquore di sentimenti.
Di bellezza.