Piedi nudi e un prato verde.
Sei piedini che adoro, passi che un giorno andranno lontano e io sarò sempre pronto a ricevere i loro racconti, nei miei abbracci, dentro i momenti di ascolto.
Naso all’insù alla ricerca di nuvole che hanno forme strane e mentre loro si divertono, per un attimo penso alla sorpresa ricevuta quel giorno in cui scoprii che sarei diventato padre.
La meraviglia, lo stupore del sapere che veramente dalla vita sarebbe nata vita, mi sentivo come un bambino di fronte alle prime esperienze, la prima volta su una giostra, tutto nuovo, impaziente di scoprire la velocità, di come quella corsa avrebbe preso piega.
Mi ricordo che comprai subito un libro, dovevo studiare, volevo informarmi, non vivere l’attesa dal di fuori come uno spettatore, ma attraverso le parole entrare in quel mondo più da vicino, scindere nella pelle e andare oltre.
Vedere le sensazioni, capire come quel piccolo puntino sarebbe cresciuto, sarebbe nato, come la musica sarebbe stata la colonna sonora anche dei suoi primi battiti.
La vita.
Le mie tre vite che ora ridono con la testa fra gli steli d’erba, loro che sono ogni volta una scoperta ed io mi sciolgo mentre con la loro vocina dolce quasi miagolano un leggero “papààààà”,una sorta di refolo di vento che porta un “finalmente sei qui”, ecco perché vorrei essere ovunque loro vanno e saranno in futuro.
Loro che crescono ed io provo a sfuggire invece ai miei anni che passano, io che spero di restare sempre il loro rifugio, una grotta nella quale correre ogni volta che avranno bisogno.
Vorrei continuare ad essere braccia nelle quali potranno scaldarsi, accoccolarsi e perdersi per trovare sonno e emozioni, perché con loro improvviso, gioco, invento. Cresco.
Mi giro e loro sono complici, sorelle è unione senza eguali, perfette per me, mio mondo in un mondo che provo a gestire.
Ecco che mi chiamano, mi avvicino piano all’orecchio della più grande e le sussurro “ma quanto mi vuoi bene?” e lei sa cosa sto per fare, ma le piace, si diverte.
“Poco poco poco”
Allora comincio a farle il solletico sotto al mento.
Ride. “Tanto tanto tanto!” Lo dice per farmi smettere perché non riesce a resistere.
E si ricomincia con il gioco.
Poi mi saltano addosso anche le altre due e ora il solletico lo fanno loro a me, loro che sentivo dentro ancor prima potessi immaginare di poter diventare il loro padre, disegni che non ho mai appuntato ma sono state fin da subito casa anche se attorno non avevo muri.
Loro sono il mio nido, io che resto nomade delle mie emozioni.
(Dall’esperienza di Hidden)