I gomiti poggiati al davanzale, il vetro appannato dal mio respiro e là fuori il cielo che alza i suoi colori verso un giorno che chissà cosa mi porterà.
Un buongiorno che voglio ingranare piano, la voglia di restare a letto che ancora preme sulle spalle ma il dovere chiama.
Il dovere di madre.
La sveglia, entrare nelle loro stanze, chiamarli o scuoterli, dipende dall’umore, dal sonno, dai sogni.
E i loro quali saranno? Quali saranno realmente i loro progetti nel futuro che li vedrà adulti un giorno?
Guardo le nuvole e ricordo.
Quelle attese non programmate, sapevo che sarei diventata madre, erano gradini della mia vita che volevo percorrere, ho sempre creduto fosse normale farlo e lo desideravo con tutta me stessa.
La felicità nel guardare il mio corpo che cambiava lentamente, ma troppo velocemente per permettermi di pensare, disegnare chissà che cosa. Ero solo in balia di paure strane e dubbi, perché sarebbe stata tutta una sorpresa.
In fondo la vita lo è.
Il sentirmi bellissima, nel miracolo dell’attesa, mentre loro crescevano nella mia pancia e come se fosse passata un’eternità da allora, sono già così grandi che farmi le stesse domande mi fa sorridere un po’.
“Sarò in grado? Sarò una brava mamma?”
Soffio sul vetro e mi rilasso, seguo ogni giorno il mio istinto, le mie mani nelle carezze che esplorano i visi dei miei figli, nelle debolezze che diventano forze nell’essere per loro protezione, nei loro sorrisi che di riflesso diventano i miei, un abbraccio indiretto per il mio cuore, un gesto che mi fa sentire appagata, mi fa comprendere che sebbene non sia una madre perfetta, qualcosa di buono l’ho fatto e ogni giorno lo faccio.
In fondo la perfezione chi la detta?
È la serenità l’angolo perfetto che vedo qui, nella mia casa, nei miei ragazzi.
Mi stringo le mani attorno alle braccia, mi accoccolo nel mio maglione nero e fisso l’alba che si stiracchia tra le nubi scure di notte. Scatto una foto. Immortalo quell’angolo di cielo, del mio cielo, dove riverso sempre un po’ di me, di quelle speranze, di quei malesseri quotidiani, di quei silenzi che non voglio trattenere ma devo.
Mi volto e respiro. Si inizia.
Buongiorno!
(Dall’esperienza di D.)