Era fine aprile del 2004. Una delle gite che più ho nel cuore, un viaggio non troppo lungo ma difficoltoso a causa delle curve e delle tante gallerie, poi per una ragazzina non abituata a viaggiare non era così facile.
Mi innamorai di Genova, poche ore ma mi entrò nel cuore diretta. I suoi vicoli chiamati caruggi, i profumi che si calavano dalle finestre a stuzzicare gli appetiti, la bellezza di quella Chiesa di cui ancora oggi ricordo il rosone, ma per il nome dovetti ricorrere alle ricerche su internet, quel giorno che decisi di scrivere di questa città nel mio libro.
La volevo con me, anche se non ci sono più stata, dalla mia adolescenza, prima di cambiare, prima di imparare a vivere davvero, prima di arrabbiarmi con la vita per tante cose e per esserne grata per tante altre.
Ricordo ancora cosa mangiai quella sera quando rientrai a casa, mamma aveva cucinato le alici al forno con le patate.
Tutto incastonato e indelebile. Come la panchina affacciata sul porto, sulla quale mi sedetti con le mie due amiche, in mezzo a loro, per un pranzo al sacco, ricordo la bottiglia di detersivo che galleggiava nel mare e a noi importava solo di essere insieme.
Gli autoscatti fatti alla macchinetta dentro all’acquario per non dimenticare quella giornata e chissà dove stanno sbiadendo ora, il ciondolo con la lettere D che comprai e che anni dopo regalai ad una signora a cui ero affezionata.
Spesso mi sono ripromessa di tornarci, spesso ho pensato a quelle curve, a quelle gallerie.
A lei.
Genova.
Due giorni dopo dal dramma. Quel ponte. Le vite distrutte.
Il peso sul petto che si aggroviglia e si incastra nel cuore.
Non è possibile e invece purtroppo lo è, scuote ogni poro e fa male alle viscere in modo spudorato. Trovare il giusto tempo per buttare giù due righe, per alleggerire lo stomaco, una indigestione di dramma.
Quanto tempo ci resta? Perché spesso ci soffermiamo troppo sulle cose, annerendoci la vita e invece basta un attimo, un fottutissimo attimo a cancellare tutto.
Quella domanda “perchè ti ha toccato così tanto la vicenda di Genova?”, è stato come ricevere un pugno nello stomaco; fa sputare tutta la bile che c’è in circolo!
Perché mi ha preso tanto!?!
Perché sono italiana, perché sono sensibile, perché io le vivo le città, le faccio scivolare dentro e le annuso.
Perché sono viva e posso dirlo!
Punto.