Ti guardo e mi sembra sempre di vivere una storia scritta da me in una di quelle notti d’estate, in cui le voci dei ragazzini mi facevano immaginare come sarebbe stato il mio primo amore.
Immaginavo ma era solo come fare degli schizzi veloci su di un foglio grigio, perché sul grigio le sbavature si vedono poco.
Sei arrivato e ancora spesso stento a crederci, mani ghiacciate e ancora i lineamenti di ragazzino contornati da riccioli castani.
Non eri come ti eri descritto, eri tu, senza troppe illusioni, perché io sogno parecchio ma poi è la realtà che mi affascina, come quando guardo attentamente una fotografia e cerco di ingrandire i dettagli più improbabili.
Così faccio con te, mentre ti carezzo il viso nel buio della stanza.
Ci sono anniversari che sanno di nostalgia, io con te vedo sempre il futuro, cresciuti insieme.
Ricordo uno scatto di sera, seduta alla fontana e un bel sorriso. Quel vestito ancora lo conservo e penso a quando lo indosserò quest’estate con il mio corpo cambiato perché non abbiamo deciso, ma abbiamo accolto il dono di diventare genitori.
Chissà se un giorno nostro figlio ci chiederà qual è la nostra canzone d’amore, io non saprò rispondere e sorriderò, tu farai uguale e mi stringerai la mano, perché in fondo è stato quello il primo gesto ad unirci. E tra quelle stesse mani anni dopo ti diedero una chitarra scordata, provasti a strimpellare qualche nota mentre io ti guardavo ed emozionata già avevo capito che avresti mandato volentieri a quel paese il cantante per il colpo basso.
Ecco cosa amo di te, l’essere diverso, l’essere te stesso, l’indossare giubbotti di pelle con le frange con sotto t-shirt colorate e bizzarre, l’essere una copertina di un libro che non acquisterà nessuno se non una ragazzina timida che vuole sapere cosa si nasconde realmente dietro un tipo che si reputa tanto strano.
Ecco perché non siamo per tutti.
Si entra dentro per scoprire il mondo, guardarlo dal di fuori non porta a niente, se non a chiedersi come si fa a perdersi senza iniziare a camminare.