Questa notte faticavo a prendere sonno e lungo la gola il respiro si stringeva alle pareti, come uno scalatore sulla montagna in estate.
Poi un flashback, un profumo di ferro che gela i polsi, le notti che un tempo non conoscevo, che mi facevano paura perché assurde. Quelle notti di tremori, di testa che scivola oltre le lenzuola mentre in realtà sta ferma sul cuscino, quando nell’adolescenza non dovresti provare la paura di morire ma solo la rabbia prepotente e scapestrata della vita che vuole uscire da ogni poro.
Notti e navi.
Il racconto di un marinaio che faceva i turni, che con la sua voce bassa e l’accento meridionale mi teneva distante dall’ansia di non farcela e lui non sapeva, parlava e basta, raccontava di sogni lontani, di ritornare alla sua terra, alla sua famiglia, perché La Spezia era bella, era il sogno di ragazzino ma la Puglia chiamava e lui sarebbe tornato per costruirsi il suo mondo.
Telefono caldo lungo l’orecchio che mi teneva aggrappata all’ascolto mentre avevo paura di crollare, mentre credevo che si sarebbe rotto tutto attorno a me e solo dopo tanti anni ho capito che era stata una grande opportunità.
Crollavo con il corpo fermo, attacchi di ansia violenti che mi catapultavano altrove ma intanto ascoltavo e immaginavo.
Ricordo solo una foto di quel ragazzo, blusa blu e il cognome cucito sul taschino sinistro, un sorriso sfuocato perché in quegli anni le foto erano così, sugli schermi piccoli di cellulari che avrebbero fatto da avi a quelli di ultima generazione che stringiamo ora in mano. Li chiamavano mms e là i profili erano sgranati e si immaginava cosa in realtà le mani avrebbero potuto accarezzare.
Un marinaio lungo gli spazi che poi la vita mi avrebbe regalato, una voce che se n’è andata piano nel tempo senza un addio, un’amicizia nelle notti strascicate sui miei tremori che stanotte si è fatto ricordare.